Dalla formazione eLearning alla cultura dell’upgrade continuo
di Maria Chiara Tafa
Nel cuore di ogni organizzazione c’è una scelta silenziosa che si rinnova ogni giorno: adattarsi o evolvere. La formazione non è più un'opzione di contorno, né un check burocratico da spuntare. È la leva più concreta che abbiamo per preparare il capitale umano a una realtà che cambia più in fretta delle definizioni.
Formarsi non basta: serve imparare a trasformarsi
Chi lavora nelle Risorse Umane lo sa: corsi, moduli, piattaforme – ce n’è in abbondanza. Ma la domanda vera è un’altra: le persone stanno davvero imparando a navigare la complessità? La velocità dell’evoluzione digitale, dall’adozione dell’AI generativa alle nuove forme di collaborazione ibrida, non ci chiede di aggiornare una competenza, ma di riscrivere il nostro modo di apprendere.
Secondo una recente analisi del World Economic Forum, entro il 2027 il 44% delle competenze individuali dovranno essere aggiornate. Eppure, in Italia solo il 19% delle PMI dichiara di avere una strategia strutturata di upskilling e reskilling. Questo divario non è solo un problema HR: è una fragilità sistemica.
Per questo, parlare ancora di “formazione obbligatoria” rischia di essere riduttivo. La compliance resta importante, certo. Ma da sola non basta a costruire aziende capaci di innovare. Serve un salto di visione: ripensare la formazione come dispositivo strategico, che alimenta la capacità adattiva, l’autonomia decisionale e la consapevolezza digitale di ogni ruolo.
La differenza la fa chi investe in percorsi formativi pensati per trasformare davvero. Le aziende che lo fanno registrano una maggiore retention del personale, una riduzione dei tempi di onboarding e una migliore reattività al cambiamento. Formarsi non basta più: serve imparare a trasformarsi.
Il nuovo "patto" formativo: agile, esperienziale, integrato
Non servono più corsi calati dall’alto, lunghi, statici, distanti dai bisogni reali. Servono invece percorsi modulari, pratici, accessibili on demand e progettati attorno ai veri punti di attrito operativi. È finita l’era del “segui il corso e poi torna al lavoro”. L’apprendimento oggi vive nel lavoro, lo accompagna, lo migliora.
Un esempio? Un addetto customer care che apprende, in pochi minuti e via mobile, come gestire le richieste con un assistente AI appena introdotto. Oppure un manager HR che approfondisce in modo mirato le implicazioni dell’AI Act sui processi di valutazione e sviluppo. Questo è “learning in action”. E quando diventa costante, trasforma.
Oggi abbiamo gli strumenti per sapere cosa funziona e cosa no. Le piattaforme di nuova generazione non si limitano a erogare contenuti, ma raccolgono insight preziosi: quali moduli vengono completati, quanto tempo serve per acquisire una competenza, dove si interrompe il percorso.
Questi dati, se letti strategicamente, permettono ai team HR di personalizzare la formazione, anticipare skill gap critici, monitorare il ROI formativo. È un cambio di prospettiva radicale: la formazione smette di essere un costo fisso e diventa un investimento tracciabile, produttivo, adattivo.
Figure ibride e culture emergenti: i veri moltiplicatori
Un aspetto spesso trascurato? La presenza di facilitatori interni. Non parliamo solo di docenti o tutor, ma di colleghi con un mindset evoluto e strumenti giusti per aiutare gli altri a capire, sperimentare, integrare il nuovo.
Nelle PMI, queste figure sono spesso team leader, HR Business Partner o anche giovani digital native incaricati di “traghettare” le novità. Dove sono presenti, il tasso di adozione aumenta. Non servono solo corsi: servono culture dell’upgrade, contagiose e trasversali.
Il vero vantaggio competitivo non è nella quantità di corsi offerti, ma nella capacità dell’organizzazione di farli diventare esperienza condivisa, linguaggio comune, spinta all’azione. È qui che la formazione incontra il cambiamento culturale e diventa realmente strategica.
Le aziende che oggi investono seriamente in upskilling e reskilling, che introducono percorsi integrati e misurabili, stanno costruendo non solo competenze, ma resilienza organizzativa. Preparano i team a gestire l’incertezza, a trasformare ogni nuovo strumento in opportunità, a leggere l’innovazione non come una minaccia ma come un linguaggio da imparare.
Conclusione: meno compliance, più coscienza
Se c’è una cosa che gli HR possono fare oggi per guidare davvero la trasformazione digitale non è “fare più corsi”. È accendere una nuova consapevolezza: la tecnologia cambia, ma la capacità di apprendere è ciò che fa la differenza.
Oggi più che mai, servono strategie formative che insegnino non solo a usare un tool, ma a pensare in modo nuovo. A farsi domande, a trovare risposte, a cambiare pelle.
Non è formazione. È evoluzione.
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